LUIGI JOHANNIS RAPUZZI

(Sacile, 1905 – Milano, 1968)

Luigi Johannis Rapuzzi fu pittore e scrittore di fantascienza. Si mosse dal luogo natio per la prima volta durante la Resistenza impegnandosi nella lotta nelle fila della Brigata Garibaldi, finendo con l’essere catturato due volte dalle milizie della Repubblica Sociale Italiana. Nel 1947 emigrò clandestinamente negli Stati Uniti e venne espulso nel 1951. Rientrato in Italia Rapuzzi cominciò a scrivere romanzi di quella fantascienza che non aveva ricevuto certo incoraggiamenti dal regime di Mussolini, probabilmente infastidito dall’eccesso di “americanismo” di quel genere letterario che ben si sposava con gli ideali “democratici” colà vigenti e che abbastanza poco si armonizzava invece con quelli “imperiali” del fascismo.

Grazie all’amicizia stretta durante la guerra con Giorgio Monicelli, storico responsabile di Urania, la maggiore collana di fantascienza in Italia, nel 1954 si vide pubblicare il romanzo C’era una volta un pianeta, seguito l’anno dopo dal romanzo Quando ero aborigeno. Fu tra i pochi autori italiani a pubblicare su Urania all’epoca. Pubblicò vari altri romanzi di successo di un genere che venne poi chiamato dell'”archeologia spaziale” e che per vari aspetti precorreva la produzione di successo di Peter Kolosimo. Fra essi si ricordano Risonanza cosmica (Urania, n. 128 del 21 giugno 1956, pubblicato con lo pseudonimo di N. H. Laurentix), La rivolta dei Jeols (Galassia, 5, 1957) e Il satellite perduto. L’operazione tuttavia più lungimirante, anche se non baciata dalla fortuna economica, fu probabilmente nel 1957 la fondazione a Udine della rivista mensile Galassia, di cui uscirono solo cinque numeri e di cui creò le copertine, e della Casa Editrice Galassia, che pur nella breve esistenza pubblicò in Italia alcuni tra i migliori classici del genere fantascientifico e sostenne alcune giovani leve della fantascienza italiana.

Sul versante della pittura Luigi Johannis Rapuzzi aderì al futurismo che rappresentò uno dei movimenti artistici più rivoluzionari del primo ‘900, con le sue premesse teoriche tese alla demolizione della tradizione, per esaltare le nuove prospettive di progresso offerte dalla civiltà delle macchine. Alla staticità del passato esso oppose il dinamismo dei tempi nuovi e il conseguente mito della velocità. Luigi Johannis Rapuzzi si interessò molto alle sue teorie e alle sperimentazioni nel campo della pittura, elaborate dai principali protagonisti di quell’indirizzo.

Ma “…le vicende storico-politiche legate all’ultima guerra incisero profondamente sull’animo e sull’immaginazione di Rapuzzi, che, abbandonata la ricerca futurista, volse il suo interesse al ricupero della ‘pax’ classica e metafisica…”. Il quadro presente nella collezione De Cillia, intitolata Paesaggio (un acquerello di cm 17×20, del 1941),”…testimonia una fase rinascimentale del percorso a ritroso, maturata sulla persuasione di dover riprendere i fili della visione oggettiva. Un rapporto non esclusivamente ottico o cromatico, ma onnicomprensivo: la misura dell’ambiente è intesa quale misura, armonia, correlazione di ogni aspetto della vita, di radice, quindi, sostanzialmente culturale”.

Per accedere ad ulteriori dati relativi alla catalogazione dell’opera consultare il sito www.beniculturali.regione.fvg.it.