ENRICO URSELLA

(Buia, 1887 – 1955)

Il pittore Enrico Ursella era figlio di modesti agricoltori; ancora adolescente, come tanti coetanei e compaesani, parte per la Germania “a far mattoni”. Nel 1911, nel suo rientro stagionale, il giovane Enrico avrà occasione di apprendere i primi rudimenti di disegno, contro la volontà della famiglia, presso il fotografo/pittore Cesare Turrin di Tarcento, dando sfogo alla sua istintiva passione ed estro artistico. Una tappa decisiva, tanto che, dopo aver racimolato denaro sufficiente, rientrerà definitivamente in patria per frequentare l’Accademia di Venezia, sotto la guida del grande maestro Ettore Tito.

L’ottenimento della borsa di studio Marangoni, al termine della Prima Guerra Mondiale, permetterà ad Enrico Ursella di intraprendere i corsi di perfezionamento a Roma. Un soggiorno, quello romano, pieno di insperati successi: suo è un dipinto di soggetto sacro per la chiesa di S. Andrea al Quirinale, molto lodato dalla critica. Negli anni seguenti, sarà un continuo impegno di mostre personali e collettive, nelle principali città d’Italia, ottenendo dovunque consensi, apprezzamento dalla critica e di vendite (la borghesia e la classe dirigente erano i principali convinti sostenitori e committenti). Tra gli eventi, si evidenzia quello del 1935 con l’amico medaglista Pietro Giampaoli, a Palazzo Doria a Roma, mentre nel ’51 si segnalano sue esposizioni ad Amiens e a Buenos Aires.

Ma di quest’esperienza, di questi stimoli, pare tutto evanescente: Enrico Ursella rientrato in Friuli, non è per nulla mutato, al di là delle soddisfazioni mondane. Era rimasto l’uomo di poche parole, timido, semplice di sempre. Unanimemente, gli si riconosce le indubbie doti di colorista e la straordinaria abilità dell’immediatezza espressiva, fatta di pennellate, soprattutto nei quadri di piccolo formato. Egli sarà sempre fedele interprete, rispettoso illustratore della sua terra in una ingenua retorica, con i suoi paesaggi, la sua gente (tutti ritratti identificabili), i contadini, le donne che lavano, i cortili delle grandi case agresti con galline e tacchini, sagre e vendemmie, in un suadente cromatismo.

E questi dipinti oggi si possono ammirare presso collezioni pubbliche e private; sono testimonianze di un passato, forse nostalgico, che oramai non esiste. L’artista buiese rappresenta quindi  il cantore del Friuli nella sua tradizione di vita contadina, non analizzata nei suoi risvolti anche negativi e penalizzanti determinati dalle dure condizioni riferite al piano sociale, che contrassegnarono l’esistenza di quei lavoratori, ma vista essenzialmente sotto l’aspetto idilliaco. La sua solida preparazione professionale gli ha consentito di trattare i vari temi riguardanti il mondo rurale con grande abilità disegnativa e pittorica e ciò ci viene confermato dall’opera “Vendemmia friulana” (un olio di cm 50×70, del 1935) esposta nella Galleria De Cillia.

Per accedere ad ulteriori dati relativi alla catalogazione del quadro consultare il sito  www.beniculturali.regione.fvg.it.